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Dambudzo Marechera
Dambudzo Marechera (Rusape, Rhodesia Meridionale 1952 – Harare, Zimbabwe 1987) è stato «il Joyce africano» e «il doppelgänger che la letteratura africana non ha mai incontrato»: figlio di un becchino e di una bambinaia, cresciuto all’ombra del segregazionismo, la sua scrittura è «una forma di combattimento» segnata dall’esilio e dalla schizofrenia.
Espulso da Oxford, Marechera conoscerà le galere britanniche e la vita da squatter prima delle luci della ribalta: Doris Lessing dirà che leggere La casa della fame è come «ascoltare un grido» e Marechera sarà il primo africano a vincere il Guardian Fiction Prize. Dopo un tour promozionale che lo rese una star in Germania – nonostante avesse rischiato di non partire presentandosi scalzo e senza documenti all’aeroporto –, Marechera tornerà in Zimbabwe per assistere alle riprese del film tratto da La casa della fame, ma verrà allontanato dal set dopo aver dato in escandescenze alla notizia che il suo primo romanzo era stato messo al bando.
Passa qualche anno e Marechera è una figura familiare per chi vive tra le strade di Harare: il matto farfugliante che gira con la macchina da scrivere e un sacco a pelo. Finirà i suoi giorni a soli trentacinque anni, dimenticato da tutti, malato di Aids e alcolizzato, senza una casa né un soldo a suo nome.
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